Era da tempo che desideravo visitare questa collezione romana che, purtroppo, ha un orario di visita ridotto e poco omogeneo durante l’anno. Non si tratta quindi di un museo che si visita di passaggio, sia per la questione appena citata che per il taglio dato alla raccolta che probabilmente risulta intellettualistico, termine che uso nella sua accezione più positiva. Lo stesso personale di accoglienza, disponibile e preparato, mi ha spiegato che il museo ha rischiato la chiusura per la scarsissima affluenza di visitatori, pertanto il Comune di Roma – il Museo di scultura antica Giovanni Barracco fa infatti parte del circuito dei “Musei in Comune” – sta cercando di mantenerlo accessibile attraverso una politica di ingressi gratuiti per tutti, l’organizzazione di mostre e il contingentamento dell’orario (delle strategie che mi sembrano però abbastanza contraddittorie).

Museo Scultura Antica Giovanni Barracco
La Sala V dedicata alla scultura greca
Ingresso al Museo Barracco
L’ingresso al Museo Barracco da Corso Vittorio Emanuele II

La peculiarità che si percepisce immediatamente entrati nella piccola corte di ingresso è il legame profondo che unisce la raccolta ad il suo ideatore Giovanni Barracco. La selezione delle opere, il criterio espositivo e il dialogo con l’architettura del palazzo ricordano più i camerini rinascimentali dei grandi patroni dell’arte che un – troppo spesso algido – museo contemporaneo.

L’intento del collezionista, coadiuvato da altri grandi personalità come Ludwig Pollak, fu espressamente dichiarato nel primo catalogo del 1893: “formare un piccolo museo di scultura antica comparata” dove si potessero confrontare opere delle principali civiltà protagoniste del bacino del Mediterraneo. Le varie sale raccolgono quindi tematicamente opere dell’arte egizia, mesopotamica, etrusca, cipriota, fenicia, greca, ellenistica, romana e medievale.

L’attuale collocazione nell’elegante palazzo rinascimentale detto “Farnesina ai Baullari”, risale al 1948. Malgrado la collezione fosse quindi originariamente ospitata in un’altra sede, l’allestimento delle opere riesce comunque a trasmettere lo spirito originale del suo ideatore Giovanni Barracco.

Il museo ospita una mostra sull’archeologo e mercante d’arte Ludwig Pollak, una personalità nota soprattutto per il ritrovamento del braccio originale del Laocoonte e dell’Atena di Mirone. Il sodalizio tra Pollak e Barracco era dettato dalla comune passione per l’arte antica e il collezionismo, e culminò nella sistemazione del primo Museo Barracco, nella sede ora demolita, e nella stesura a quattro mani del già citato catalogo. Barracco indicò nel suo testamento del 1914 che la direzione del museo, già donato al Comune di Roma, rimanesse all’amico, tuttavia il clima politico dell’Italia che si avviava al fascismo impedì che le sue ultime volontà venissero rispettate. Pollak, di origine ebraica, venne deportato ad Auschwitz dove si spense nel 1943.

La mostra si snoda all’interno delle stesse piccole stanze del museo, dialogando con i reperti già presenti ed integrandone di nuovi. Grandi setti arancioni creano delle quinte e delle teche dove vengono ospitati documenti e manoscritti relativi all’attività di Pollak, mentre dei pannelli informano sull’attività dell’archeologo e del suo rapporto di consulenza ed amicizia con Barracco.

Particolarmente interessante è quello sulla già citata vicenda del braccio del Laocoonte. Pollak, che frequentava i negozi di antiquariato e le botteghe di scalpellini per la sua attività di mercante, notò il braccio in un laboratorio ai piedi del Colle Oppio. Malgrado la disponibilità dell’allora direttore dei Musei Vaticani, Pollak non riuscì a dimostrare l’appartenenza del braccio al Laocoonte a causa del diverso stato di conservazione dei marmi e gli interventi di restauro al gruppo che impedivano di far combaciare le due estremità. Sarà solo nel 1942, quando Pollak era già stato deportato, che Vergara Caffarelli riuscì a dimostrare che il “braccio Pollak” apparteneva al gruppo del Laocoonte, che venne quindi reintegrato durante i lavori di restauro del 1957.

Seguendo il percorso delle sale, vorrei qui riportare l’attenzione solo su alcune opere relative all’arte tolemaica, etrusca e greca. Salita la scalinata che si sviluppa dalla loggia di ingresso, si accede alla Sala I dedicata all’arte egizia dove è ospitata una testa maschile barbata in diorite nera di epoca tolemaica (seconda metà I secolo a.C.).

Sulla durissima pietra è ritratto un uomo dall’espressione intensa e greve. I dettagli incisi delle ciocche di capelli e della barba, assieme alle rughe, donano una straordinaria naturalezza e solennità a questo volto. Questi elementi e la stella ad otto punte sul cercine, interpretata come sidus Iulium, convinsero Barracco che si trattasse di un ritratto di Giulio Cesare eseguito in contesto egiziano. Studi recenti propendono però ad individuare in questo volto un sacerdote di Serapide, giustificando la somiglianza con i ritratti di Giulio Cesare ad una diffusione e ricezione dei canoni romani di raffigurazione delle eminenti personalità pubbliche.

La Sala III è dedicata all’arte etrusca e fenicia e vorrei qui descrivere il cippo funerario in pietra fetida da Chiusi, datato all’inizio del V sec. a.C.

Del monumento, composto da tre parti, sono da notare le raffigurazioni a rilievo bassissimo che illustrano il complesso rito funerario etrusco. Ogni faccia del dado, quasi come in una narrazione consequenziale, mostra infatti una scena legata alla sfera del rituale funebre, in questo caso probabilmente di un personaggio femminile, con notevoli reminiscenze del mondo greco.

Seguendo in senso antiorario il corteo di personaggi maschili su un lato, e femminili sull’altro, che si muove verso destra, si giunge alle ultime due scene. Quella dell’esposizione del corpo defunto sul letto (pròthesis) ritrae un bambino su uno sgabello che suona gli auloi e due donne, una intenta a compiangere il morto mentre l’altra porta degli alabastra per il trattamento del corpo. La scena finale ritrae due donne, sedute su ricchi sgabelli, intente verosimilmente alla scelta delle vesti: l’ancella al centro infatti dispiega ed esibisce un mantello, mentre quelle ai lati sono intente a portare altri capi d’abbigliamento.

Cippo di Chiusi Museo Barracco

Una volta salite le scale di accesso al secondo piano si viene inondati dalla luce proveniente dalle grandi vetrate piombate che chiudono gli spazi tra le colonne e i pilastri di quello che probabilmente era in origine una loggia o un ballatoio. Da qui si può entrare alle sale dedicate alla scultura greca, ellenistica, romana e medievale. Molte opere provengono dagli scavi di Roma di fine Ottocento, quando la città subì importanti lavori urbanistici dopo la proclamazione del Regno d’Italia e l’insediamento definitivo della capitale.

Della Sala V, dedicata all’arte greca, vorrei segnalare due opere (tra le tantissime presenti che sarebbero da descrivere): l’Hermes Kriophoros e l’efebo tipo Westmacott.

Il “Portatore di ariete” è una copia romana di epoca imperiale da un originale greco del V secolo a.C., probabilmente ispirato dall’opera dello scultore Kalamis per Tanagra. È Pausania a ricordare i centri dell’antica Grecia devoti ad Hermes Kriophoros e questa città della Beozia in particolare. A Tanagra, durante le feste dell’Hermaia, veniva scelto il giovane più bello che doveva percorrere, portando un ariete alle spalle, lo stesso giro delle mura seguito da Hermes per salvare la città dalla peste. L’iconografia fu poi mutuata in ambito cristiano per raffigurare il Cristo come bonus pastor.

La statua di efebo di tipo Westmacott è una copia romana da un originale greco della scuola di Policleto (fine V sec. a.C.). Il modello è quello della celebre scultura eretta ad Olimpia in onore di Kynìskos, vincitore di una gara di pugilato come ricorda Pausania. Il giovane atleta è raffigurato mentre alza il braccio destro nell’atto di incoronarsi per la vittoria conquistata. La ricerca dell’equilibrio e del ritmo delle membra, con la contrapposizione tra il braccio sollevato e la gamba sinistra impegnata nello sforzo di reggere il peso del corpo, nonché la testa inclinata in corrispondenza della gamba flessa, è quella tipica dell’opera di Policleto.

Efebo tipo Westmacott

Il Museo Giovanni Barracco, assieme alla testimonianza dell’operato di Ludwig Pollak che di esso si fa testimone attraverso questa mostra, rappresenta una realtà culturale che merita di essere preservata e valorizzata. La strategia dell’ingresso gratuito appare in contrasto con quella di un orario di apertura piuttosto ristretto e molto diverso in base al periodo dell’anno.

Di sicuro l’organizzazione di eventi temporanei non può che promuovere il ritorno dei visitatori già affezionati, ma forse bisognerebbe cercare di intercettare nuove fasce di pubblico senza stravolgere la concezione e l’atmosfera di questa collezione, una operazione non certo semplice ed immediata ma doverosa.


Consigli di lettura

  • Sito del Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco
    www.museobarracco.it
  • AA.VV., Ludwig Pollak. Archeologo e Mercante d’Arte, Roma, 2018
  • Cima, M. Museo Barracco, Milano, 2008