Carlo Scarpa, l’acqua e l’antico
Complice un aperitivo nella caffetteria del museo, ne ho approfittato per rivedere gli interventi di Carlo Scarpa alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia. La storia del palazzo come polo culturale è una delle vicende architettoniche più interessanti della città di Venezia dagli anni ’60 dello scorso secolo ad oggi, assieme al recupero dell’Arsenale e di Punta della Dogana. Il rapporto tra museo, architettura e città di Palazzo Querini Stampalia è ancora in evoluzione dopo la musealizzazione dell’area Scarpa e le recentissime acquisizioni della Fondazione.
Costruito nel 1514, il palazzo crea una quinta scenografica che fa da sfondo al Campo di Santa Maria Formosa, un centro nevralgico tra Rialto e San Marco ma prudentemente lontano dagli opulenti fasti degli edifici sul Canal Grande – scelta obbligata probabilmente per le vicissitudini della famiglia dopo la congiura Bajamonte Tiepolo.
Il primo sostanziale recupero e riassetto, dopo la caduta della Serenissima, avvenne solo tra il 1959 e il 1963 per il volere dell’allora direttore Giuseppe Mazzariol con il progetto di Carlo Scarpa. Gli spazi del palazzo non erano infatti adeguati alla duplice volontà della Fondazione di mantenere l’integrità della “casa museo” del piano nobile e di ospitare nuove manifestazioni culturali e i relativi servizi.
Il progetto di Carlo Scarpa, oltre al restauro e al consolidamento generale dell’edificio, individuò tre interventi chiave: il nuovo ingresso con il ponte di accesso, la fondamenta, il portego (Aula Gino Luzzatto) e il giardino.
Tre le tantissime opere del museo, vorrei qui concentrarmi proprio sull’intervento architettonico di Carlo Scarpa, e in particolare sulla grandissima sensibilità del maestro in rapporto a due elementi essenziali della città di Venezia: l’acqua e la passione antiquaria.
Il giardino del palazzo non è decisamente un luogo fortunato. Si tratta di un piccolo fazzoletto verde incastrato tra alti palazzi che, nei secoli, ha sempre raccolto scarse attenzioni dei proprietari. Proprio da queste difficoltà oggettive, il gesto progettuale di Scarpa riesce a ritagliare un vero luogo di delizie, un giardino dalle vaghe reminiscenze giapponesi.
Con una straordinaria attenzione il progettista ha saputo relazionare in modo equilibrato i marmi antichi, già presenti in situ, l’acqua e suggestioni orientali. I percorsi rigorosi in cemento e pietra, scanditi da elaborate fontane che sembrano dei gioielli déco, riescono a delineare armonicamente gli spazi verdi. Pulizia delle linee e semplicità sono immediatamente percepibili alla vista, ma allo stesso tempo anche l’udito viene stimolato dal rilassante zampillio dell’acqua. L’atmosfera pacata di questo giardino è la perfetta compagna per la grande biblioteca del piano superiore.
I marmi antichi, come i capitelli, le sculture e la grande vera da pozzo sono stati collocati scenograficamente per relazionarsi ai nuovi interventi e segnare particolari punti focali. La piccola statua del leone, ad esempio, è posta alla fine del rigoroso ruscello che separa il marciapiede dal prato rialzato, mentre la vera da pozzo dialoga con la fontana ai suoi piedi.
Il genio del maestro si esprime fisicamente nei lavori compiuti, ma forse ancor di più nello spirito del progetto stesso: l’osmosi tra la città esterna e gli ambienti interni, non solo nel giardino.
L’acqua alta, grazie alla visione di Scarpa, non è un elemento da allontanare, ma invade in modo progettato e attento gli spazi del piano terra, creando giochi di riflessi e trasparenze che valorizzano gli spazi. I visitatori possono comunque usufruire di tutti gli ambienti senza limitazioni grazie ai percorsi rialzati.
Una tale impostazione di progetto, a mio avviso di altissima visione, si potrebbe confrontare con un intervento di recupero che partiva da premesse molto simili, ma dagli esiti diversissimi. Tadao Ando nel restauro di Punta della Dogana ha fatto realizzare una gigantesca vasca a tenuta stagna che risolve “definitivamente” il problema dell’acqua alta, lasciandola fuori dagli spazi. Carlo Scarpa invece non risolve un problema, ma sfrutta una peculiarità della città e la accoglie in modo osmotico fino a farla diventare spettacolo.
“dentro, dentro l’acqua alta; dentro come in tutta la città. Solo si tratta di contenerla, di governarla, di usarla come materiale luminoso e riflettente: vedrai i giochi di luce sugli stucchi gialli e viola dei soffitti. Una meraviglia!”
Lettera di Carlo Scarpa da G. Mazzariol, Lo spazio dell’arte, Paese 1992
La sensibilità progettuale di Scarpa è portatrice di un messaggio talmente potente che influenza ancora oggi gli obiettivi della Fondazione: la contaminazione e il dialogo con l’esterno come valori da ricercare.
Questi due valori sono evidenti negli ulteriori lavori di riassetto dagli anni ’90 ad oggi. Seguendo in modo attento le indicazioni testamentarie del fondatore e lo statuto, la Fondazione propone infatti una offerta culturale e di servizi sempre più completa che ha però reso necessari nuovi ambienti. Se da un lato la “casa museo” rimane il cuore pulsante della Querini Stampalia da salvaguardare e mantenere intatto, tutti gli altri ambienti sono in costante evoluzione. Cruciale è stata la felice – e doverosa – scelta di musealizzare l’Area Scarpa, con la conseguente ridefinizione dell’ingresso e dei percorsi dei visitatori.
Questa recente fase architettonica, progettata da Mario Botta, mette “ordine” ai diversi flussi dei frequentatori degli spazi della Fondazione: non solo i visitatori del museo e delle mostre, ma anche ricercatori e studenti interessati ai servizi della biblioteca, spettatori delle conferenze nel nuovo auditorium, impiegati negli uffici dati in locazione e, non ultimi, i frequentatori del ristorante-caffetteria e dello shop aperti anche al pubblico esterno. Nuova zona di “smistamento” di tutti questi percorsi è la corte coperta, in aperto dialogo con gli interventi precedenti di Carlo Scarpa grazie all’osmosi tra luce interna ed esterna.
Questi interventi hanno inoltre permesso la creazione di ambienti di servizio che possono soddisfare le esigenze della fruizione contemporanea degli spazi culturali, come guardaroba automatico, stanze studio e lavoro con wi-fi ad alta velocità e prese elettriche, laboratori per bambini e workshops.
Consigli di lettura
- Carlo Scarpa alla Querini Stampalia.
a cura di Marta Mazza
Venezia, Il Cardo, 1996
- Phylippe Duboÿ
Carlo Scarpa. L’arte di esporre.
Milano, Johan & Levi Editore, 2016 - Mario Botta Querini Stampalia.
a cura di Mario Gemin
Pordenone, Giavedoni Editore, 2015
- Museo Querini Stampalia Venezia.
a cura di Babet Trevisan
Ponzano, Vianello Libri, 2010 - Quaderni Ricordi: Carlo Scarpa alla Querini Stampalia.
a cura di Maura Manzelle
Venezia, 2003
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